Corrida sì, corrida no, l'eterno dilemma
La sfida tradizionale spagnola tra cultura e crudeltà
di Alessandra Ricco
"La storia della corrida è legata a quella della Spagna, tanto che senza conoscere la prima è impossibile capire la seconda". È con questa frase che José Ortega y Gasset, un noto filosofo spagnolo, inquadra questo rapporto di "odi et amo" che arriva fino ad oggi a stringere in un unico abbraccio l'uomo e il toro. Alle origini, prima della "corrida de toros", c'era probabilmente solo una "capeas", cioè una forma di tauromachia, spesso improvvisata e con aspetti cruenti simulati, che si svolgeva al centro del villaggio, con toreri e vitelli dilettanti. Il primo a trasformare la tauromachia in uno sport spettacolarizzato fu Carlo I. Ed ecco i matador a piedi a reclamare un posto di prestigio in questa sfida, con i loro indumenti ricamati con lustrini. In Spagna, sono circa 400 le Plaza de Tores ed ognuna ha una piccola cappella dove ogni torero riceve la benedizione da un prete prima di entrare nell'arena. Le regole, definite nel XIX secolo con la nascita delle prime arene, prevedono l'alternarsi di 3 toreri e 6 tori. Dopo una sfilata iniziale di tutti coloro che prenderanno poi parte alla corrida, prende il via lo spettacolo con la morte del toro in tre fasi: tercio de vara (in cui il torero studia la strategia per colpire i punti deboli dell'animale), le banderillas (sono i bastoni con cui il toro viene affrontato e infilzato sul dorso), la faena (il momento saliente in cui il toro deve essere sottomesso). L'ultima mossa dello spettacolo, che ha una durata di circa un'ora e mezza, spetta al pubblico che, a seconda del gradimento, agita un fazzoletto bianco oppure urla. A Siviglia invece, quando il matador non piace, il disprezzo viene espresso con il silenzio.
Passano gli anni ma la corrida non smette mai di far parlare di sè. Secondo le associazioni animaliste non è altro che una tortura legalizzata inflitta al toro, la cui violenza è stata denunciata anche da Almodovar ne "Il Matador", ben lontana dalla manifestazione del sublime descritta da Hemingway in "Morte nel Pomeriggio".
Ma polemiche di questo genere non mancano anche in Italia, una tra tutte quella riferita al Palio di Siena che quest'anno è stato sotto l'occhio del ciclone dopo le dichiarazioni del ministro Vittoria Brambilla che esprimevano perplessità sulla sorte dei cavalli in gara e sulla candidatura del Palio a entrare sotto la tutela dell'Unesco. Il ministro ha, in passato, anche paragonato la Corrida spagnola (messa al bando in Catalogna) alla storica manifestazione toscana per poi fare prontamente dietro front, visto il paragone a dir poco azzardato. Comunque della corrida non c'è solo chi si scandalizza, c'è anche chi fa di un toro una star. Come è successo quest'estate a Valencia dove Raton, che già aveva fatto parlare di sé e della leggenda nera del toro assassino, ha ucciso a cornate nell'arena il suo terzo uomo, un giovane trentenne sceso dagli spalti per testare il suo coraggio e onorare la tradizione spagnola che nelle fiestas vuole una prova di virilità con le corna di un toro.
Ma la notizia che ha infuocato ancor di più la rovente estate spagnola è decisamente il passaggio voluto da Zapatero delle competenze sulla tauromachia al Ministero della Cultura, sancendone così lo status di disciplina artistica e prodotto culturale. Per la corrida de toros spagnola, però, il dilemma continua a rimanere negli anni sempre lo stesso: il sacrificio della vita di un animale vale il biglietto di uno spettacolo?