Colori, odori, suggestioni. Myanmar tra tradizione e innovazione
Un paese ancora in fase di transizione verso la democrazia, ma in grado di regalare grandi emozioni
Per chi cerca un viaggio fuori dai circuiti usuali e con poco turismo il Myanmar può ancora essere una buona risposta, ma anche se può sembrare una meta esotica e poco battuta, da viaggiatori non c’è modo di sentirsi soli.
Attraversando la ex Birmania si capisce che con le contraddizioni si convive ogni giorno: ci sono infatti zone fortemente turistiche che sembrano quasi ‘costruite’ ad hoc per l’occhio e lo scatto dell’occidentale, come aree completamente ‘fuori dal circuito’ nelle quali ‘lo straniero’ viene subito riconosciuto e salutato con simpatia e curiosità.
Il Myanmar è grande circa due volte l’Italia, eppure non è difficile incontrare gli stessi turisti a Yangon, così come in zone a dieci ore di autobus di distanza (tutti gli spostamenti infatti richiedono dalle 6 alle 11 ore, anche in tratti che, cartina geografica alla mano, sembrerebbero molto più vicini).
Il dubbio quindi può essere: non sarà che tutti i viaggiatori stanno facendo lo stesso ‘giro turistico’? Ovviamente questo è valido in ogni meta ma in questo caso l’impressione è stata ancora più pressante. Il Myanmar è ancora un paese in dittatura, la cui fase di transizione verso le democrazia dura da anni e con molti problemi politici (dati dalla convivenza tra un numero spropositato di ‘etnie’ diverse) da risolvere.
Nella ex Birmania gli stranieri non possono guidare e in alcune zone non possono arrivare con mezzi pubblici: svelato quindi l’arcano, i viaggiatori fanno lo stesso tour perché per forza di cose non si può fare altrimenti.
Nonostante questo il Myanmar merita certamente il prezzo del biglietto. Tradizioni millenarie e tentativi di sviluppo coesistono: non è difficile infatti vedere convivere metodi di coltivare la terra profondamente antichi e smartphone di ultima generazione.
Prima di partire in molti mi dicevano: “la Birmania conserva ancora il lato più bello e genuino dell’Asia” e al mio ritorno posso dire che questa affermazione è sicuramente vera. Non troverete catene commerciali occidentali, tranne rarissimi casi nella parte più ‘in’ di Yangon, gli uomini e le donne sono vestiti per la maggioranza in abiti tradizionali, ovvero con lonji (dei pantaloni-gonna fermati in vita), solo per fare alcuni esempi.
All’inizio della permanenza sembrerà strano vedere monaci buddisti in giro per le strade con dei contenitori rotondi (nei quali raccolgono il riso che le persone donano loro) o donne e bambini con le guance dipinte di tanaka (una sostanza bianca ricavata da una radice) o le strade ‘chiazzate’ di una sostanza rossa, il betel, che viene masticata da tutti e sputata in terra costantemente. Nei giorni successivi tutto questo vi sembrerà normale perché è la loro normalità.
Yangon è una città davvero caotica, girarla a piedi è un’impresa quasi mitica visto che il concetto di striscia pedonale è completamente estraneo per i birmani: attraversare la strada è infatti la cosa più pericolosa da affrontare. Per il resto la pace e la tranquillità regnano sovrane: fidarsi delle persone viene più che naturale, al massimo ti potrà succedere di dover dare una donazione non prevista.
Esperienza da provare il tour con il treno che circonda Yangon. Niente di turistico: è il mezzo usato abitualmente da chi abita nelle periferie della città e che fornisce agli occhi dei visitatori uno spaccato della vita fuori da Yangon veramente interessante. “La nostra è una terra molto povera” ci dicono sul treno ed effettivamente la situazione in cui le persone vivono è in certi casi drammatica, ma non per questo non dignitosa: in tutto il paese non troverete mendicanti.
Dopo un viaggio in Myanmar impossibile non citare Bagan. Il consiglio è quello di arrivare di notte con un autobus e accettare il passaggio di uno dei tantissimi tassisti che si offriranno. Piano piano con la luce ci si rende conto di quello che si ha davanti: una distesa di natura incontaminata cosparsa di centinaia di piccole e grandi pagode. Uno spettacolo unico.
Da vedere anche il lago Inle, in particolare per il tour in una delle piccole ‘gondole’ che ti portano a visitare come vivono i pescatori e le loro produzioni: sigarette, maglieria, argento.
Con il taxi si possono raggiungere zone meno turistiche ma di gran bellezza, come il complesso di Kakku, nel quale sarete accompagnati da guide locali.
Mandalay e i suoi dintorni (Inwa e il suggestivo ponte sospeso di Amarapura) sono sicuramente posti stupendi e molto più preparati all’accoglienza dei turisti: la bellezza dei luoghi è indiscutibile e i birmani stanno iniziando a rendersi conto che questa può essere per loro una gran risorsa.
Zona non turistica e davvero genuina quella di Bago, cittadina vicino a Yangon dove il delirio regna sovrano: qui vi potrà capitare di fare un massaggio in quello che assolutamente non è un centro attrezzato oppure visitare una pagoda in cui decine di residenti si recano per lasciare donazioni ad un mega pitone (vivo!) che riposa pacificamente accanto ad un uomo che recita preghiere.
Nei dintorni di Yangon una gita merita anche la Golden Rock, una roccia in oro incastonata per miracolo su una montagna, visitata ogni giorno da centinaia di pellegrini che portano offerte, banchettano e (se impossibilitati a camminare) raggiungono la meta su delle lettighe portate a braccia da quattro uomini.
In tutte le pagode che visiterete mettetevi l’anima in pace: è rigorosamente vietato indossare scarpe e calzini, anche dove non sarà esattamente pulito il consiglio è non guardare in terra o comunque non pensarci troppo.
Per vivere il Myanmar, insomma, è necessario perdersi, dimenticare l’orologio, aprire gli occhi a tutto quello che c’è intorno. Tutto è diverso, tutto da scoprire. Preparatevi a provare (o quanto meno ad osservare) lo street food più autentico, a salire su mezzi di trasporto senza chiedervi per quale legge della fisica stanno insieme, a tentare dialoghi in birmano-inglese, a vedere migliaia di pagode e statue di Budda, ma soprattutto ai sorrisi della gente, ai ciao con la mano dei bambini.
Alice Pistolesi